Il Cappellone Scout: curiosità, usi e manutenzione

La storia

Baden Powell lo chiamava il “coperchio”: il nostro Cappellone Scout è da sempre il copricapo portato da esploratori, guide e capi reparto.

Da tutti riconosciuto per il suo colore verde, di feltro a tesa larga, il copricapo fonda le sue origini in Sud Africa durante la guerra anglo-boera. Inizialmente Baden Powell lo scelse solo per i suoi esploratori militari e poi diventò il cappello ufficiale per tutti gli scout.

Si narra che BP fosse così affezionato da ricevere il soprannome di “l’uomo dal cappello grande” proprio per il suo copricapo.

La forma era perfetta. Infatti il cappello a falda larga permette di proteggere il capo dal sole cocente, dalla pioggia, ma anche dai rami e dai cespugli all’interno dei boschi.

All’inizio la calotta di questo cappello era perfettamente circolare. Ben presto l’uso quotidiano e la continua presa ha modificato la parte fino a creare quattro rientranze. L’idea piacque così tanto da essere riprodotta in serie.

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Da cosa è composto?

Tradizionalmente, questo iconico copricapo era realizzato in feltro, ovvero fibre di lana modellate attraverso molteplici fasi di sagomatura con acqua calda, sapone e vapore. Un unico pezzo, privo di cuciture.

Con l’evoluzione delle tecnologie e la crescente attenzione per l’ambiente, sono stati introdotti nuovi materiali per la creazione del cappellone scout. Oggi il cappellone è in tessuto non tessuto (non woven technology) in fibre sintetiche, privo di leganti chimici, con utilizzo di fibre termo-gelanti.

Grazie a questo nuovo materiale, il cappellone scout moderno offre numerosi vantaggi: le fibre sintetiche lo rendono leggero e traspirabile, senza compromettere la sua capacità di proteggere dalla pioggia. Inoltre, è stato progettato per essere ripiegabile, senza alcun impatto sulla sua forma e struttura originali, rendendolo perfetto per essere trasportato ovunque.

Il suo aspetto viene completato dalla presenza di un laccio di cuoio, che fermato attorno alla cupola, si lega poi dietro alla nuca impedendo in questo modo che il cappello possa cadere.

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Tanti usi, un solo cappello

cappellone-uniforme-scoutIl cappellone ha diverse funzioni oltre a quelle di protezione dagli agenti atmosferici.

Infatti può essere utilizzato anche per attizzare il fuoco, per contenere l’acqua prelevata da una sorgente, per appoggiare la testa in un momento di riposo.

Il laccio e il cinturino attorno alla cupola, facilmente staccabili, possono essere utili in caso di emergenza da primo soccorso.

Manutenzione del cappellone in feltro

E se si rovina? Niente paura, basterà immergerlo in acqua fino a farlo inzuppare e ritornerà alla sua forma originaria. Lascialo asciugare all’ombra e lontano da qualunque fonte di calore.

Costruiamo il nostro “Conserva cappelli”

Se vuoi riporre il tuo cappellone in feltro nell’armadio in maniera corretta puoi cimentarti nella costruzione di un vero e proprio “conserva cappelli”. Come fare? Segui le istruzioni qui sotto.

  1. cappellone-scoutTaglia due tavole di compensato (A e B) con lo spessore di 3 mm: larghezza 34cm, lunghezza 37cm.
  2. Prendi il pannello A e al centro ricava un’apertura ovoidale di 20 cm di larghezza e 23 cm di lunghezza a 7 cm dai margini.
  3. Fai dei buchi con il trapano su entrambi i pannelli in corrispondenza dei quattro angoli e fissa una vite con bullone a farfalla su ciascuno di essi. Riponi il cappellone sul pannello B e sopra poni il pannello A. Chiudi i due pannelli con le quattro viti a farfalla.

 

Insomma, questo cappellone, in origine color khaki come era l’uniforme, e oggi color fango, rappresenta a tutti gli effetti un capo dell’uniforme che non dovrebbe mancare a nessun esploratore e guida.   

 

“Ma appena vedevo un ragazzo magari a capo scoperto, ma con il suo cappellone appeso allo zaino, potevo riconoscerlo come un fratello scout, raggiungerlo e fare quattro chiacchiere. È l’uniforme – e specialmente il “coperchio” – che identifica uno scout, in qualunque parte del mondo lo si incontri”.
(dal Taccuino di B.P.)

[ Foto di copertina tratta dal film Aquile Randagie – 2019 – Regia Gianni Aureli – Cinecittà Luce  ]